giovedì 22 aprile 2010

La materia di una cosa

Ho nostalgia della materia delle cose.
Non si può mai trovarsi, nel mondo di oggi, faccia a faccia con la materia delle cose, perché si vive di cose già formate; l'intera nostra esistenza è qualcosa di preparato, di preventivamente trattato da altri. Tutto questo si addice a un bambino, non a un uomo adulto; l'uomo adulto è colui che tratta direttamente la materia.
La maturità infatti non è altro che il sapere della materia, che solo permette l'esistenza di una responsabilità, responso autonomo dato a una materia autonoma. La stessa possibilità di un agire storico, che oggi ci è preclusa, passa da un'appropriazione del mondo, per la quale è necessario percepire le cose nella loro eccedenza materiale.
Ma che cos'è l'eccedenza materiale, cosa si intende qui per materia delle cose?

La materia di una cosa è il suo stato originario, la sua pura esistenza. La materialità di una cosa è il modo in cui essa si offre alla nostra percezione interamente nella sua presenza fisica, nella sua opacità, nel suo primigenio eccedere ogni possibile uso, forma, interpretazione o significato.
Formare una cosa significa infatti precisamente disinnescarne l'originaria eccedenza materiale scegliendo in essa una delle infinite forme latenti, ritagliando ciò che ci interessa ed eliminando tutto il resto. La materialità di una cosa quindi coincide anche con il massimo della sua potenzialità, perché proprio quando la cosa è solo materia, può risolversi in qualsiasi forma.

L'uomo nasce in un mondo che gli viene consegnato pre-formato, preparato, nel suo aspetto materiale come nelle sue categorie concettuali.
Questa preparazione è il risultato dell'attività di formazione svolta dagli uomini venuti prima di lui.
Il grado di vitalità di una società è proporzionale alla misura in cui essa riesce ad assicurare al singolo un punto di maturazione dal quale poter foggiare a sua volta il mondo, trattare con la sua materialità.
L'uomo la deve conquistare con un duro sforzo, riesumandola come un archeologo dai numerosi strati di millenaria attività di formazione anteriore. Un esempio di questo processo è l'appropriazione del linguaggio.
Le parole e il significato delle cose vengono trasmessi nell'infanzia come qualcosa di già formato; con la crescita si fa poi esperienza di queste cose, venendo in contatto con la loro materialità. L'appropriazione delle cose nel linguaggio coincide con una sospensione della formazione trasmessa per sostituirla in un processo graduale con la propria personale formazione della materia.
Il momento di passaggio è l'adolescenza, dove questa negazione del preparato si manifesta nel distacco e nel contrasto coi genitori, contrasto con le loro idee, con le loro forme e generalmente con la loro immagine del mondo.
La propria maturità (e quindi il raggiungimento di uno stato di piena indipendenza) si può raggiungere solo mediante il contatto con l'indipendenza delle cose, con la loro materialità. Confrontandosi direttamente con l'indipendenza delle cose l'uomo conquista a sua volta l'indipendenza. Fintanto che vive in un mondo che dipende da altri, a contatto di cose che dipendono da altri, egli non può che rimanere dipendente da questi stessi altri.
Maturità quindi è la conoscenza delle cose nella loro indipendenza, al di là e prima di ogni formazione, prima del loro essere inserite in una rete di concetti, prima del loro essere lette in un certo modo.
Questo sapere dovrebbe essere il sapere insegnato dall'istruzione, ma oggi il sistema scolastico tende sempre di più a privilegiare l'insegnamento della forma delle cose all'allievo, piuttosto che l'insegnamento di come formarle da sé. La conoscenza delle cose in questo modo dipenderà sempre da altri, mai da me. Insegnare la forma delle cose qual'è stata fissata e decisa una volta per tutte nel passato, piuttosto che insegnare il formare stesso per il presente.
Ma questa concezione dell'istruzione non sorprende se si pensa che ci troviamo all'interno di un sistema capitalista che ha potenziato all'inverosimile il carattere pre-formato dell'esistenza, rendendolo totale.
Nella gabbia dorata del consumismo, anche l'adulto vive come un bambino: le cose con cui vive, le cose che consuma, tutto ciò che vede è stato preparato, dipende da qualcun'altro.
Così, anche se il sistema consumista potrebbe sembrare a prima vista una condotta di vita tipicamente materialistica, non lo è che nell'accezione volgare del termine. Infatti più di ogni altro sistema sociale il consumismo separa gli uomini dalla loro propria materialità e dalla materialità delle cose, recludendola in luoghi appositi come le fabbriche e le discariche.
Ma è la trasformazione dell'esperienza avvenuta nell'era del capitalismo che forse attesta maggiormente questa perdita di materialità, della presenza viva delle cose.
In questa esperienza ogni cosa è vissuta per così dire in trasparenza; il monopolio della visione strumentale fa sì che non si guardi più le cose, ma attraverso esse. La natura pre-trattata di questo mondo fa sì che ogni elemento di resistenza, di novità, di sorpresa, quel tanto di eccedenza presente nelle cose sia disinnescato, favorendo una rappresentazione di oggetti sempre uguali nel loro uniforme rispondere a un modello preimpostato. Per questo essi diventano interamente riducibili a dei concetti, a dei segni, tanto che con questi vengono infine integralmente sostituiti. Un mondo di sogno è la realtà, nella quale noi non siamo più in contatto diretto con le cose, ma con dei sostituti, degli avatar delle cose, con dei concetti che riducono la ricca eccedenza della realtà a un nesso nella coscienza. Ecco che il mondo consumista si è rivelato come il più immateriale dei mondi.
Solo l'esperienza del bello sfugge ancora a questa visione fuori fuoco, in quanto obbliga lo sguardo ad arrestarsi sulle cose, a non oltrepassarle, a non disperdersi sullo sfondo. Nel bello l'occhio è obbligato a soffermarsi, a considerare la cosa come intransitiva, non più transitiva.
Il bello è il resistere dell'apparenza (in quanto eccedenza, materialità dell'immagine) all'occhio, un opacità irriducibile a un concetto o a un fine estrinseco. Questa stessa resistenza è anche la sorgente del desiderio erotico, è la civetteria dell'apparire delle cose, della loro enigmatica, eccedente, pura materialità.
La materia di una cosa è quindi tutto questo: la sua indipendenza da ogni altra cosa, la sua resistenza a ogni formazione, a ogni interpretazione, la sua opacità irriducibile alla trasparenza e il suo stato di massima potenzialità perché stato originario, precedente a ogni relazione e formazione. Tutti questi aspetti sono riassunti dal termine eccedenza materiale.
Nostalgia della materia, quindi, significa nostalgia di questa eccedenza e insieme consapevolezza di trovarsi in un mondo che ci condanna a rimanere larve, uomini bambini, che non possono mai veramente raggiungere un'indipendenza.
Un sistema autonomo è un dispositivo capace di mettere nuovamente l'uomo in contatto con l'indipendenza delle cose, con la loro autonomia, con la loro materialità e nello stesso tempo con la sua propria autonomia, con la sua materialità e la sua indipendenza.
Formare le cose che mangio confrontandomi con la materialità e la resistenza della terra, capire come questa materia funziona, creare i miei attrezzi, la mia energia, la mia casa, il mio modo di vivere. Incontrare l'autonomia di altri e formare una comunità fondata sulla condivisione della materialità del vivere quotidiano, su un con-vivere che non sia più solo un uscire astratto giustificato dal pretesto della festa di turno.
Una saggezza di matrice immemorabile sentenzia che la bellezza e la felicità non vanno cercate oltre le cose. E' proprio questo il desiderio fittizio, insoddisfabile, che insinua il consumismo.
La materia delle cose è inesauribile, poiché se percepita nella sua eccedenza contiene e genera le forme e le idee, è presenza viva della realtà nella sua pienezza.
Del resto, come i bambini sanno meglio degli adulti, il tempo della felicità è il tempo che non basta a se stesso, il tempo che si eccede. E forse, nei banchetti e nelle feste davvero riusciti, la materialità trabocca dal tempo come il vino dalla coppa.

venerdì 16 aprile 2010

Architettura sostenibile - Costruzioni in paglia




"If all the straw left in the United States after the
harvest of major grains was baled instead of
burned, five million 2,000-square-foot houses
could be built every year."

—Matts Myhrman, fondatore di Out on Bale


Le costruzioni in paglia sfruttando l'immenso spreco di tale materiale, permette di realizzare muri ad alto isolamento con un bassissimo impatto sull'ambiente. La paglia è l'insieme degli steli disseccati delle messi già mietute e battute a differenza del fieno che ha valori nutrizionali utili per il foraggio e viene tagliato quando ancora è verde e con i semi ancora "attaccati". La magior parte della paglia viene bruciata o abbandonata invece che essere raggruppata in balle. La paglia è più economica e con meno valori nutrizionali rispetto al fieno, quindi migliore per la costruzione di edifici. Per migliaia di anni la paglia è stata usata come materiale per rinforzare il fango, costruire case e isolare muri.
Chiunque stia pensando di costruirsi una casa sostenibile, quella di paglia è sicuramente una soluzione economica, confortevole, duratura ed efficiente. Anche se le balle di paglia sono economiche, le rifiniture interne e esterne richiedono un intenso lavoro: e si dovesse pagare una "squadra" per la costruzione di una casa di paglia andrebbe pagata tanto quanto una casa con il telaio moderno. Il risparmio sta nelle bollette che in un periodo non troppo lungo permettono di risparmiare notevolmente.
Le case di paglia offrono:

- un'alta resistenza ai terremoti, più di molte costruzioni in cemento armato o laterzio;
- un alto potere isolante termico ;
- un alto livello di traspirabilità dei muri, in quanto la paglia "respira"e di conseguenza rende salubri gli ambienti interni;
- un basso rischio di incendio (resistono al fuoco più a lungo di un edificio in cemento armato).
- un buon isolamento acustico;

giovedì 15 aprile 2010

Architettura sostenibile - Cast Earth




Solitamente utilizzato per costruzioni residenziali, il metodo cast earth è molto efficiente.
Tutte le tecniche di costruzione basate sulla terra, richiedono un intenso lavoro di mantenimento e realizzazione rispetto alle costruzioni basate sul telaio. Per esempio una costruzione in adobe richiede circa un migliaio di mattoni e il pisè, anche se vengono utilizzati macchinari moderni, necessita di molto lavoro per la compressione.
Il metodo cast earth utilizza il terreno come massa e il gesso unito ad una sostanza brevettata che stabilizza la mistura con la terra e riduce il restringimento. Una punto di forza del cast earth sta nella rapidità di essiccamento: lo stesso giorno in cui viene versato il composto si può togliere dalle forme e utilizzare per la costruzione. Grazie all'elasticità del gesso calcinato non ci sono problemi di restringimento e crepature. Possono essere utilizzate una vasta quantità di terreni diversi, l'importante è mantenere una quantità di gesso pari al 10/15 % sul totale.
A differenza della produzione di cemento, che rilascia una grande quantità di CO2 durante la reazione chimica, il gesso calcinato ne produce molta di meno, circa un decimo. Gioca a sfavore del gesso calcinato il fatto che necessita di alte temperature nel processo produttivo, consumando più energia rispetto al cemento.

Architettura sostenibile - Adobe




La tecnica adobe viene usata da molti secoli. L'adobe tradizionale è un materiale di costruzione sostenibile realizzato con la terra e la paglia locale. La composizione ottimale del terreno prevede (all'incirca come il pisè) in terzo di sabbia, un altro terzo di terriccio "melma" e un terzo di argilla. Il terreno non deve contenere materiale organico (non va infatti utilizzato lo strato superiore), se non il solo contenuto di paglia (opzionale). la paglia viene aggiunta per evitare le crepature in quanto funge da rinforzo fibroso. Per le costruzioni in adobe tradizionali il suolo umido e la paglia sminuzzata vengono versati in delle forme singole o di raggruppate. Una volte estratte dalla forma il mattone deve rimanere integro altrimenti la mistura va riproporzionata nelle dosi. Una volta che i mattoni hanno raggiunto un certo livello di secchezza ed hanno resistito alla crepatura, vengono lasciati asciugare completamente. Come nel pisè anche in questo caso la composizione è critica per raggiungere un risultato abbastanza efficace. In alcuni casi si sceglie di aggiungere degli stabilizzanti che servono per per aumentare il volume globale, la resistenza e la durezza del mattone. I mattoni in seguito vengono impilati utilizzando il fango come calcina tra essi. I muri più massicci tendono a mantener il fresco d'estate e il caldo d'inverno, ma, come per il pisè, l'adobe non è un ottimo isolatore. Nelle regioni più fredde si inserisce, esternamente o internamente uno strato di schiuma isolante. In altri casi è abbastanza creare un intercapedine di 4-5 cm tra il muro interno e quello esterno. Per sostenere tetti piani, per le finestre e le porte si utilizzano assi di legno. Tutt'intorno ai muri viene poi spalmato uno strato di fango, che rifinisce le pareti come lo stucco. Nel metodo moderno di costruzione adobe, le pareti sono rinforzate con aste di ferro.

Architettura sostenibile - Pisè (rammed earth)



Chiesa della Sacra Croce a Stateburg, South Carolina, costruita con la tecnica "rammed -arth" nel 1850–1852






Five million years after the evolution of the
opposable thumb and 130,000 years after the
appearance of the first Homo sapiens, most of
the planet's species and 50 percent of the planet's
humans still live in shelters made of earth.
—David Easton, The Rammed Earth House


Per migliaia di anni la terra e il fango sono stati usati come materiali di costruzione. In tutto il globo si sono sviluppate le tecniche pisè dove la sabbia e l'argilla erano presenti naturalmente. In Francia il pise de terre è stata la tecnica dominante per 2000 anni. Dallo Yemen fino in Cina e fino alla catena montuosa dell'Atlante in Marocco sono state erette costruzioni durature e belle che ospitano tuttora famiglie da varie generazioni.
Le costruzioni tradizionali in pisè venivano costruite in aree il cui terreno conteneva il 70% di sabbia e 30% del giusto tipo di argilla (quello sbagliato puzza quando umido e si crepa quando è secco). Un suolo con tali caratteristiche ha proprietà a dir poco magiche: quando inumidito e compresso l'argilla e l'acqua diventano una colla che mantiene la sabbia unita. Il risultato è un materiale duro e resistente come una pietra. Nelle zone ad alto rischio di terremoto i muri per legge vengono incorporati con aste di metallo. questo non significa che le costruzioni tradizionali in pisè non fossero abbastanza resistenti: nel caso francese le costruzioni pise de terre sono sopravvissute per centinaia di anni in condizioni di alta umidità. In California ci sono un centinaio di costruzioni che sono sopravvissute a più di un secolo di terremoti (alcune senza fondamenti e tutte senza l'uso del cemento, ferro o altro).
I muri massicci in pisè emanano un certo senso di forza, tranquillità e resistenza, in quanto sono enormi masse termiche che mantengono il fresco d'estate e il caldo d'inverno.
Anche se i muri sono larghi da 40 a 60 cm i muri in pisè non sono molto isolanti, e nelle zone particolarmente fredde si aggiunge un pannello interno isolante.

Architettura sostenibile - L'approccio totale

Costruire una casa ha un significato.

Mi ha sempre assillato un pensiero sul valore dell'architettura: quanto l'ambiente architettonico circostante può condizionare un uomo?
Quando esco verso la periferia della bellissima Torino, non posso soffermarmi su questo pensiero di fronte a quegli scenari desolanti: una serie di parallelepipedi in fila fanno la gara a chi contiene più cassettini (balconi). Mi ricordano gli armadietti che usava mio nonno per archiviare piccoli attrezzi di lavoro. Come può influenzare il fatto di svegliarsi al mattino e avere di fronte un'immensa parete piena di cassettini ammassati? poter vedere il cielo solo torcendo verso l'alto il collo e accecandosi con il sole? Non serve dimostrare come i colori, i punti di incontro, i rumori, le dimensioni e gli spazi vitali siano elementi influenzanti, basta appellarsi al senso estetico primordiale. Eppure i motivi per costruirli c'erano: dove fare stare una massa di immigrati in cerca di un tetto? L'esigenza di sviluppare strutture verticali è dettata da necessità esclusivamente funzionali alla quantità di persone che devono essere tutte vicine ad un solo centro: il centro della città. Sono però convinto che in nome di questa funzionalità si siano creati altri problemi molto importanti che nel tempo possono annullare anche i benefici della funzione stessa.

Un approccio totale significa non escludere nessuna conseguenza alle azioni. Non costruire solo in nome della capienza ma anche in base ad altre cose che, guardando lontano, producono altre conseguenze. Questo fa sì che l'operato duri nel tempo e venga valorizzato, mantenuto e magari migliorato. Solo in questo modo si da un significato al lavoro compiuto e viene rispettato chi lo ha prodotto.

Le costruzioni sostenibili:

- usano la luce naturale dove possibile per rendere gli ambienti più piacevoli;
- conservare le risorse naturali utilizzando materiali disponibili locali o riciclati.
- tendono ad essere vendute ed affittate più velocemente perché regalano un ambiente più piacevole e con meno costi;
- risparmiano energia. Alcune risparmiano fino al 90% dell'energia comunemente consumata, altre addirittura diventano generatrici di energia grazie gli impianti fotovoltaici;
- sono orientate, disegnate e costruite in modi sensibili allo sviluppo locale;
- riducono la richiesta di riscaldamento e raffreddamento utilizzando un isolamento efficace, finestre speciali e utilizzando i dispositivi elettrici a risparmio energetico;

mercoledì 14 aprile 2010

Il lavoro positivo - conclusione

Verso un sistema autonomo

E' per questi motivi che l'unica possibilità di uscire da questa crisi per le nuove generazioni si giocherà interamente sulla riconquista di una dimensione positiva del lavoro, dimensione che non potrà più avvalersi del sostegno antico della religione e dell'arte, ormai irrecuperabili, ma che dovrà essere ricercata invece in nuovi ambiti e in nuove modalità di esistenza.
Il tentativo di raggiungere un sistema autonomo è per molti versi un tentativo di proporre un nuovo modello di lavoro positivo.

Il lavoro positivo - Il lavoro oggi

Come viene inteso il lavoro oggi?

Oggi, nel mondo della postmodernità, il lavoro è giunto alla sua estrema astrazione. Se ancora fino alla generazione dei nostri padri il lavoro comunicava almeno con la sfera politica, che gli dava un significato simbolico inserendolo in un macro-contesto ricalcando così pallidamente quello che un tempo era il dominio della religione, oggi alle nuove generazioni non è rimasto nemmeno questo, poiché il processo di precarizzazione che ha investito il mondo del lavoro nell'ultimo decennio ha definitivamente polverizzato la possibilità di parlare, prima ancora di una coscienza di classe, finanche di un “proprio” lavoro, dato che quest'ultimo cambia di continuo e non può mai essere portatore di altro significato se non quello di essere una danza macabra alla ricerca di un salario.
Nella totale interscambiabilità dei lavori, nella loro equivalenza, viene negata a priori ogni possibile affermazione positiva del lavoro. Se “ogni tipo di lavoro va bene” vuol dire che il tipo di lavoro, la sua particolarità positiva, non conta più nulla. Conta solo, appunto, il puro lavoro.
Tutto questo determina una crisi senza precedenti, perché la vita dell'uomo in questo paradigma è quasi totalmente una negazione della vita stessa, una negazione del tempo, una schiavitù di cui l'uomo non riesce ad intuire il senso nemmeno nei momenti del cosiddetto tempo libero, questo succedaneo secolare della festa, che diventa sempre più un ammazzare il tempo, un puro far niente.
Ecco che la portata emblematica della nostra epoca viene alla luce nella paradossalità della coincidenza in negativo di tempo del lavoro e tempo della festa (quelli che un tempo erano la sfera profana e la sfera sacra): nel tempo del lavoro si nega il tempo, nel tempo della festa lo si ammazza. E cioè: il tempo è sempre negato, mai affermato.
Sarebbe qui da indagare anche tutta la tematica dell'odierno disagio psicologico dell'uomo nel suo tempo libero, che ormai viene quasi vissuto come tempo peggiore del lavoro, nel quale non si sa che fare e si desidera che passi velocemente (proprio come il lavoro; la confusione fra vacanza e lavoro è ormai diventata un tema comico per eccellenza).

Il lavoro positivo - lavoro e arte

Arte e lavoro: due mondi oggi completamente distinti.

Il mondo premoderno non conosceva quello che noi oggi chiamiamo l'arte, l'artista; anche in questo caso, l'idea di un'arte rigidamente separata da tutte le altre sfere dell'agire umano sarebbe sembrata un'aberrazione.
Arte in greco si diceva techne, da cui l'odierno tecnica; lo spostamento di significato che rivela l'etimologia la dice lunga sulla fragilità dei confini che dividevano arte e lavoro.
Di questo peculiare rapporto fra le due sfere oggi noi possiamo forse recuperare un'eco in una parola ormai desueta: il mestiere.
Nella parola mestiere noi esprimiamo proprio quel lavoro che confina con l'arte; proprio del mestiere è infatti di ritenere essenziale anche il momento del lavoro, il “come”, lo stile, oltre che il prodotto finito, il “cosa”, l'opera.
Il mestiere si compiace del suo lavorare: per questo lo afferma pienamente e lo considera, come la fatica artistica, pienamente valido di per se stesso.
E' lo stile, il particolare modo di cucinare ad essere il vanto del cuoco. A questo proposito è rimasto ancora oggi il detto “questa è arte” riferito a tutte quelle opere che, pur non essendo concepite per essere arte in senso stretto ma come prodotti funzionali di un lavoro, travalicano completamente nella loro perfezione questo concetto di funzionalità per abbracciare quello di finalità intrinseca proprio delle opere d'arte.
Tutte queste modalità in cui il lavoro assumeva un valore in sé e si presentava come positivo scomparvero gradualmente nella modernità, da una parte per il processo di secolarizzazione e dall'altra per il processo della specializzazione degli ambiti, che pose fine a questo interscambio fra le sfere di lavoro, arte e religione di cui abbiamo parlato a proposito del mondo antico.
Ogni ambito venne per così dire lasciato a se stesso e nei motti “l'arte per l'arte” e “il lavoro è il lavoro” si sigillarono gli antichi confini.

Il lavoro positivo - lavoro e religione

Perchè il mondo premoderno intendeva il lavoro in modo diverso rispetto a quello attuale?

Oggi il significato della parola lavoro coincide con quello di lavoro negativo.
Vi sono state epoche storiche nelle quali però il lavoro era connotato diversamente, in un modo che potremmo chiamare positivo.
Questa connotazione differente era data da una triplice interazione fra le sfere del lavoro, della religione e dell'arte. Quei confini che oggi separano così ermeticamente questi ambiti, un tempo erano più vaghi e permeabili, tanto che l'autonomia di ogni sfera si fondava solo sulla contaminazione con le altre due.
L'idea di lavoro del mondo premoderno quindi non coincideva assolutamente con il concetto di puro lavoro; questo modo di concepirlo sarebbe apparso come un'astrazione insensata.
Il mondo premoderno infatti era profondamente modellato da una concezione religiosa dell'esistenza in tutti i suoi aspetti. Il tempo quotidiano profano non era l'unica modalità temporale conosciuta dagli antichi; essi conoscevano anche il tempo sacro e nella loro esperienza generale del tempo questi due aspetti non erano rigidamente contrapposti ma interconnessi, orientati l'uno sull'altro.
Poiché la concezione del tempo e quella del lavoro sono legate indissolubilmente, essendo la seconda un calco della prima, se nella società moderna al concetto di puro lavoro corrisponde un monopolio totale dell'aspetto profano del tempo, nella società antica, in linea con una concezione del tempo dualistica e non più univoca (tempo sacro-tempo profano), ci troveremo di fronte a una concezione religiosa del lavoro.
Questo significa che il lavoro, pur facendo parte del tempo profano, era come questo interpretato e orientato sul piano del tempo sacro.
Il lavoro quindi, assumendo una funzione quasi rituale, non era mero tempo strumentale da negare perchè privo di alcun valore, ma era significativo in se stesso, poiché si inseriva nell'edificio concettuale religioso assumendo la funzione di simbolo evocatore di miti.
Casi esemplari a questo titolo sono tutti i riti connessi all'agricoltura (pensiamo ai riti della fertilità); da questi è facile comprendere come tutto il lavoro contadino era interamente sussunto sul piano religioso e assumeva valore rituale. Questo tipo di lavoro, essendo caratterizzato non più dalla negazione del tempo, ma all'opposto dalla sua piena affermazione, si può definire quindi positivo, poiché in esso non si concepisce il tempo del lavoro come privo di valore, come uno strumento, ma come avente valore di per sé stesso.
Nel primo caso il tempo del lavoro deve durare il meno possibile, meglio sarebbe se si eliminasse del tutto; nel secondo caso esso deve durare “il suo tempo”, perchè esso è pienamente voluto in quanto simbolo del tempo sacro.
Ma nel mondo antico vi è un'altra sfera, anch'essa già da sempre cooriginaria a quella religiosa, che si sovrapponeva e si confondeva con quella del lavoro: il mondo dell'arte.

Il lavoro positivo - cosa significa?

La società moderna fino ad oggi è stata caratterizzata, parallelamente al suo progressivo fondarsi su un'economia capitalista, da una concezione negativa del lavoro.
Per lavoro negativo si intende quel tipo di lavoro che si concepisce come puro lavoro, mero mezzo per procacciarsi il salario. In quanto puro tempo di mezzo, il lavoro nega il mio tempo e lo nega nella misura in cui il tempo del lavoro è il mio proprio tempo che io sottraggo da me stesso per asservirlo a un qualunque altro fine.
Il lavoro diventa così quella parte della vita che non si spende per vivere propriamente, ma si spende in vista del vivere, per poi vivere. La vita giace, in questo tempo di mezzo, come quasi morta, in una sorta di stand-by.
Questo tipo di lavoro quindi è negativo perchè è negativo il modo in cui raggiunge il suo obiettivo: attraverso il sacrificio del tempo, sacrificio della vita presente in vista della vita futura. Il lavoro negativo è anzi in tutti i suoi aspetti un sacrificio profano: si uccide, si nega qualcosa affinchè qualcos'altro si possa affermare.