giovedì 22 aprile 2010

La materia di una cosa

Ho nostalgia della materia delle cose.
Non si può mai trovarsi, nel mondo di oggi, faccia a faccia con la materia delle cose, perché si vive di cose già formate; l'intera nostra esistenza è qualcosa di preparato, di preventivamente trattato da altri. Tutto questo si addice a un bambino, non a un uomo adulto; l'uomo adulto è colui che tratta direttamente la materia.
La maturità infatti non è altro che il sapere della materia, che solo permette l'esistenza di una responsabilità, responso autonomo dato a una materia autonoma. La stessa possibilità di un agire storico, che oggi ci è preclusa, passa da un'appropriazione del mondo, per la quale è necessario percepire le cose nella loro eccedenza materiale.
Ma che cos'è l'eccedenza materiale, cosa si intende qui per materia delle cose?

La materia di una cosa è il suo stato originario, la sua pura esistenza. La materialità di una cosa è il modo in cui essa si offre alla nostra percezione interamente nella sua presenza fisica, nella sua opacità, nel suo primigenio eccedere ogni possibile uso, forma, interpretazione o significato.
Formare una cosa significa infatti precisamente disinnescarne l'originaria eccedenza materiale scegliendo in essa una delle infinite forme latenti, ritagliando ciò che ci interessa ed eliminando tutto il resto. La materialità di una cosa quindi coincide anche con il massimo della sua potenzialità, perché proprio quando la cosa è solo materia, può risolversi in qualsiasi forma.

L'uomo nasce in un mondo che gli viene consegnato pre-formato, preparato, nel suo aspetto materiale come nelle sue categorie concettuali.
Questa preparazione è il risultato dell'attività di formazione svolta dagli uomini venuti prima di lui.
Il grado di vitalità di una società è proporzionale alla misura in cui essa riesce ad assicurare al singolo un punto di maturazione dal quale poter foggiare a sua volta il mondo, trattare con la sua materialità.
L'uomo la deve conquistare con un duro sforzo, riesumandola come un archeologo dai numerosi strati di millenaria attività di formazione anteriore. Un esempio di questo processo è l'appropriazione del linguaggio.
Le parole e il significato delle cose vengono trasmessi nell'infanzia come qualcosa di già formato; con la crescita si fa poi esperienza di queste cose, venendo in contatto con la loro materialità. L'appropriazione delle cose nel linguaggio coincide con una sospensione della formazione trasmessa per sostituirla in un processo graduale con la propria personale formazione della materia.
Il momento di passaggio è l'adolescenza, dove questa negazione del preparato si manifesta nel distacco e nel contrasto coi genitori, contrasto con le loro idee, con le loro forme e generalmente con la loro immagine del mondo.
La propria maturità (e quindi il raggiungimento di uno stato di piena indipendenza) si può raggiungere solo mediante il contatto con l'indipendenza delle cose, con la loro materialità. Confrontandosi direttamente con l'indipendenza delle cose l'uomo conquista a sua volta l'indipendenza. Fintanto che vive in un mondo che dipende da altri, a contatto di cose che dipendono da altri, egli non può che rimanere dipendente da questi stessi altri.
Maturità quindi è la conoscenza delle cose nella loro indipendenza, al di là e prima di ogni formazione, prima del loro essere inserite in una rete di concetti, prima del loro essere lette in un certo modo.
Questo sapere dovrebbe essere il sapere insegnato dall'istruzione, ma oggi il sistema scolastico tende sempre di più a privilegiare l'insegnamento della forma delle cose all'allievo, piuttosto che l'insegnamento di come formarle da sé. La conoscenza delle cose in questo modo dipenderà sempre da altri, mai da me. Insegnare la forma delle cose qual'è stata fissata e decisa una volta per tutte nel passato, piuttosto che insegnare il formare stesso per il presente.
Ma questa concezione dell'istruzione non sorprende se si pensa che ci troviamo all'interno di un sistema capitalista che ha potenziato all'inverosimile il carattere pre-formato dell'esistenza, rendendolo totale.
Nella gabbia dorata del consumismo, anche l'adulto vive come un bambino: le cose con cui vive, le cose che consuma, tutto ciò che vede è stato preparato, dipende da qualcun'altro.
Così, anche se il sistema consumista potrebbe sembrare a prima vista una condotta di vita tipicamente materialistica, non lo è che nell'accezione volgare del termine. Infatti più di ogni altro sistema sociale il consumismo separa gli uomini dalla loro propria materialità e dalla materialità delle cose, recludendola in luoghi appositi come le fabbriche e le discariche.
Ma è la trasformazione dell'esperienza avvenuta nell'era del capitalismo che forse attesta maggiormente questa perdita di materialità, della presenza viva delle cose.
In questa esperienza ogni cosa è vissuta per così dire in trasparenza; il monopolio della visione strumentale fa sì che non si guardi più le cose, ma attraverso esse. La natura pre-trattata di questo mondo fa sì che ogni elemento di resistenza, di novità, di sorpresa, quel tanto di eccedenza presente nelle cose sia disinnescato, favorendo una rappresentazione di oggetti sempre uguali nel loro uniforme rispondere a un modello preimpostato. Per questo essi diventano interamente riducibili a dei concetti, a dei segni, tanto che con questi vengono infine integralmente sostituiti. Un mondo di sogno è la realtà, nella quale noi non siamo più in contatto diretto con le cose, ma con dei sostituti, degli avatar delle cose, con dei concetti che riducono la ricca eccedenza della realtà a un nesso nella coscienza. Ecco che il mondo consumista si è rivelato come il più immateriale dei mondi.
Solo l'esperienza del bello sfugge ancora a questa visione fuori fuoco, in quanto obbliga lo sguardo ad arrestarsi sulle cose, a non oltrepassarle, a non disperdersi sullo sfondo. Nel bello l'occhio è obbligato a soffermarsi, a considerare la cosa come intransitiva, non più transitiva.
Il bello è il resistere dell'apparenza (in quanto eccedenza, materialità dell'immagine) all'occhio, un opacità irriducibile a un concetto o a un fine estrinseco. Questa stessa resistenza è anche la sorgente del desiderio erotico, è la civetteria dell'apparire delle cose, della loro enigmatica, eccedente, pura materialità.
La materia di una cosa è quindi tutto questo: la sua indipendenza da ogni altra cosa, la sua resistenza a ogni formazione, a ogni interpretazione, la sua opacità irriducibile alla trasparenza e il suo stato di massima potenzialità perché stato originario, precedente a ogni relazione e formazione. Tutti questi aspetti sono riassunti dal termine eccedenza materiale.
Nostalgia della materia, quindi, significa nostalgia di questa eccedenza e insieme consapevolezza di trovarsi in un mondo che ci condanna a rimanere larve, uomini bambini, che non possono mai veramente raggiungere un'indipendenza.
Un sistema autonomo è un dispositivo capace di mettere nuovamente l'uomo in contatto con l'indipendenza delle cose, con la loro autonomia, con la loro materialità e nello stesso tempo con la sua propria autonomia, con la sua materialità e la sua indipendenza.
Formare le cose che mangio confrontandomi con la materialità e la resistenza della terra, capire come questa materia funziona, creare i miei attrezzi, la mia energia, la mia casa, il mio modo di vivere. Incontrare l'autonomia di altri e formare una comunità fondata sulla condivisione della materialità del vivere quotidiano, su un con-vivere che non sia più solo un uscire astratto giustificato dal pretesto della festa di turno.
Una saggezza di matrice immemorabile sentenzia che la bellezza e la felicità non vanno cercate oltre le cose. E' proprio questo il desiderio fittizio, insoddisfabile, che insinua il consumismo.
La materia delle cose è inesauribile, poiché se percepita nella sua eccedenza contiene e genera le forme e le idee, è presenza viva della realtà nella sua pienezza.
Del resto, come i bambini sanno meglio degli adulti, il tempo della felicità è il tempo che non basta a se stesso, il tempo che si eccede. E forse, nei banchetti e nelle feste davvero riusciti, la materialità trabocca dal tempo come il vino dalla coppa.

venerdì 16 aprile 2010

Architettura sostenibile - Costruzioni in paglia




"If all the straw left in the United States after the
harvest of major grains was baled instead of
burned, five million 2,000-square-foot houses
could be built every year."

—Matts Myhrman, fondatore di Out on Bale


Le costruzioni in paglia sfruttando l'immenso spreco di tale materiale, permette di realizzare muri ad alto isolamento con un bassissimo impatto sull'ambiente. La paglia è l'insieme degli steli disseccati delle messi già mietute e battute a differenza del fieno che ha valori nutrizionali utili per il foraggio e viene tagliato quando ancora è verde e con i semi ancora "attaccati". La magior parte della paglia viene bruciata o abbandonata invece che essere raggruppata in balle. La paglia è più economica e con meno valori nutrizionali rispetto al fieno, quindi migliore per la costruzione di edifici. Per migliaia di anni la paglia è stata usata come materiale per rinforzare il fango, costruire case e isolare muri.
Chiunque stia pensando di costruirsi una casa sostenibile, quella di paglia è sicuramente una soluzione economica, confortevole, duratura ed efficiente. Anche se le balle di paglia sono economiche, le rifiniture interne e esterne richiedono un intenso lavoro: e si dovesse pagare una "squadra" per la costruzione di una casa di paglia andrebbe pagata tanto quanto una casa con il telaio moderno. Il risparmio sta nelle bollette che in un periodo non troppo lungo permettono di risparmiare notevolmente.
Le case di paglia offrono:

- un'alta resistenza ai terremoti, più di molte costruzioni in cemento armato o laterzio;
- un alto potere isolante termico ;
- un alto livello di traspirabilità dei muri, in quanto la paglia "respira"e di conseguenza rende salubri gli ambienti interni;
- un basso rischio di incendio (resistono al fuoco più a lungo di un edificio in cemento armato).
- un buon isolamento acustico;

giovedì 15 aprile 2010

Architettura sostenibile - Cast Earth




Solitamente utilizzato per costruzioni residenziali, il metodo cast earth è molto efficiente.
Tutte le tecniche di costruzione basate sulla terra, richiedono un intenso lavoro di mantenimento e realizzazione rispetto alle costruzioni basate sul telaio. Per esempio una costruzione in adobe richiede circa un migliaio di mattoni e il pisè, anche se vengono utilizzati macchinari moderni, necessita di molto lavoro per la compressione.
Il metodo cast earth utilizza il terreno come massa e il gesso unito ad una sostanza brevettata che stabilizza la mistura con la terra e riduce il restringimento. Una punto di forza del cast earth sta nella rapidità di essiccamento: lo stesso giorno in cui viene versato il composto si può togliere dalle forme e utilizzare per la costruzione. Grazie all'elasticità del gesso calcinato non ci sono problemi di restringimento e crepature. Possono essere utilizzate una vasta quantità di terreni diversi, l'importante è mantenere una quantità di gesso pari al 10/15 % sul totale.
A differenza della produzione di cemento, che rilascia una grande quantità di CO2 durante la reazione chimica, il gesso calcinato ne produce molta di meno, circa un decimo. Gioca a sfavore del gesso calcinato il fatto che necessita di alte temperature nel processo produttivo, consumando più energia rispetto al cemento.

Architettura sostenibile - Adobe




La tecnica adobe viene usata da molti secoli. L'adobe tradizionale è un materiale di costruzione sostenibile realizzato con la terra e la paglia locale. La composizione ottimale del terreno prevede (all'incirca come il pisè) in terzo di sabbia, un altro terzo di terriccio "melma" e un terzo di argilla. Il terreno non deve contenere materiale organico (non va infatti utilizzato lo strato superiore), se non il solo contenuto di paglia (opzionale). la paglia viene aggiunta per evitare le crepature in quanto funge da rinforzo fibroso. Per le costruzioni in adobe tradizionali il suolo umido e la paglia sminuzzata vengono versati in delle forme singole o di raggruppate. Una volte estratte dalla forma il mattone deve rimanere integro altrimenti la mistura va riproporzionata nelle dosi. Una volta che i mattoni hanno raggiunto un certo livello di secchezza ed hanno resistito alla crepatura, vengono lasciati asciugare completamente. Come nel pisè anche in questo caso la composizione è critica per raggiungere un risultato abbastanza efficace. In alcuni casi si sceglie di aggiungere degli stabilizzanti che servono per per aumentare il volume globale, la resistenza e la durezza del mattone. I mattoni in seguito vengono impilati utilizzando il fango come calcina tra essi. I muri più massicci tendono a mantener il fresco d'estate e il caldo d'inverno, ma, come per il pisè, l'adobe non è un ottimo isolatore. Nelle regioni più fredde si inserisce, esternamente o internamente uno strato di schiuma isolante. In altri casi è abbastanza creare un intercapedine di 4-5 cm tra il muro interno e quello esterno. Per sostenere tetti piani, per le finestre e le porte si utilizzano assi di legno. Tutt'intorno ai muri viene poi spalmato uno strato di fango, che rifinisce le pareti come lo stucco. Nel metodo moderno di costruzione adobe, le pareti sono rinforzate con aste di ferro.

Architettura sostenibile - Pisè (rammed earth)



Chiesa della Sacra Croce a Stateburg, South Carolina, costruita con la tecnica "rammed -arth" nel 1850–1852






Five million years after the evolution of the
opposable thumb and 130,000 years after the
appearance of the first Homo sapiens, most of
the planet's species and 50 percent of the planet's
humans still live in shelters made of earth.
—David Easton, The Rammed Earth House


Per migliaia di anni la terra e il fango sono stati usati come materiali di costruzione. In tutto il globo si sono sviluppate le tecniche pisè dove la sabbia e l'argilla erano presenti naturalmente. In Francia il pise de terre è stata la tecnica dominante per 2000 anni. Dallo Yemen fino in Cina e fino alla catena montuosa dell'Atlante in Marocco sono state erette costruzioni durature e belle che ospitano tuttora famiglie da varie generazioni.
Le costruzioni tradizionali in pisè venivano costruite in aree il cui terreno conteneva il 70% di sabbia e 30% del giusto tipo di argilla (quello sbagliato puzza quando umido e si crepa quando è secco). Un suolo con tali caratteristiche ha proprietà a dir poco magiche: quando inumidito e compresso l'argilla e l'acqua diventano una colla che mantiene la sabbia unita. Il risultato è un materiale duro e resistente come una pietra. Nelle zone ad alto rischio di terremoto i muri per legge vengono incorporati con aste di metallo. questo non significa che le costruzioni tradizionali in pisè non fossero abbastanza resistenti: nel caso francese le costruzioni pise de terre sono sopravvissute per centinaia di anni in condizioni di alta umidità. In California ci sono un centinaio di costruzioni che sono sopravvissute a più di un secolo di terremoti (alcune senza fondamenti e tutte senza l'uso del cemento, ferro o altro).
I muri massicci in pisè emanano un certo senso di forza, tranquillità e resistenza, in quanto sono enormi masse termiche che mantengono il fresco d'estate e il caldo d'inverno.
Anche se i muri sono larghi da 40 a 60 cm i muri in pisè non sono molto isolanti, e nelle zone particolarmente fredde si aggiunge un pannello interno isolante.

Architettura sostenibile - L'approccio totale

Costruire una casa ha un significato.

Mi ha sempre assillato un pensiero sul valore dell'architettura: quanto l'ambiente architettonico circostante può condizionare un uomo?
Quando esco verso la periferia della bellissima Torino, non posso soffermarmi su questo pensiero di fronte a quegli scenari desolanti: una serie di parallelepipedi in fila fanno la gara a chi contiene più cassettini (balconi). Mi ricordano gli armadietti che usava mio nonno per archiviare piccoli attrezzi di lavoro. Come può influenzare il fatto di svegliarsi al mattino e avere di fronte un'immensa parete piena di cassettini ammassati? poter vedere il cielo solo torcendo verso l'alto il collo e accecandosi con il sole? Non serve dimostrare come i colori, i punti di incontro, i rumori, le dimensioni e gli spazi vitali siano elementi influenzanti, basta appellarsi al senso estetico primordiale. Eppure i motivi per costruirli c'erano: dove fare stare una massa di immigrati in cerca di un tetto? L'esigenza di sviluppare strutture verticali è dettata da necessità esclusivamente funzionali alla quantità di persone che devono essere tutte vicine ad un solo centro: il centro della città. Sono però convinto che in nome di questa funzionalità si siano creati altri problemi molto importanti che nel tempo possono annullare anche i benefici della funzione stessa.

Un approccio totale significa non escludere nessuna conseguenza alle azioni. Non costruire solo in nome della capienza ma anche in base ad altre cose che, guardando lontano, producono altre conseguenze. Questo fa sì che l'operato duri nel tempo e venga valorizzato, mantenuto e magari migliorato. Solo in questo modo si da un significato al lavoro compiuto e viene rispettato chi lo ha prodotto.

Le costruzioni sostenibili:

- usano la luce naturale dove possibile per rendere gli ambienti più piacevoli;
- conservare le risorse naturali utilizzando materiali disponibili locali o riciclati.
- tendono ad essere vendute ed affittate più velocemente perché regalano un ambiente più piacevole e con meno costi;
- risparmiano energia. Alcune risparmiano fino al 90% dell'energia comunemente consumata, altre addirittura diventano generatrici di energia grazie gli impianti fotovoltaici;
- sono orientate, disegnate e costruite in modi sensibili allo sviluppo locale;
- riducono la richiesta di riscaldamento e raffreddamento utilizzando un isolamento efficace, finestre speciali e utilizzando i dispositivi elettrici a risparmio energetico;

mercoledì 14 aprile 2010

Il lavoro positivo - conclusione

Verso un sistema autonomo

E' per questi motivi che l'unica possibilità di uscire da questa crisi per le nuove generazioni si giocherà interamente sulla riconquista di una dimensione positiva del lavoro, dimensione che non potrà più avvalersi del sostegno antico della religione e dell'arte, ormai irrecuperabili, ma che dovrà essere ricercata invece in nuovi ambiti e in nuove modalità di esistenza.
Il tentativo di raggiungere un sistema autonomo è per molti versi un tentativo di proporre un nuovo modello di lavoro positivo.

Il lavoro positivo - Il lavoro oggi

Come viene inteso il lavoro oggi?

Oggi, nel mondo della postmodernità, il lavoro è giunto alla sua estrema astrazione. Se ancora fino alla generazione dei nostri padri il lavoro comunicava almeno con la sfera politica, che gli dava un significato simbolico inserendolo in un macro-contesto ricalcando così pallidamente quello che un tempo era il dominio della religione, oggi alle nuove generazioni non è rimasto nemmeno questo, poiché il processo di precarizzazione che ha investito il mondo del lavoro nell'ultimo decennio ha definitivamente polverizzato la possibilità di parlare, prima ancora di una coscienza di classe, finanche di un “proprio” lavoro, dato che quest'ultimo cambia di continuo e non può mai essere portatore di altro significato se non quello di essere una danza macabra alla ricerca di un salario.
Nella totale interscambiabilità dei lavori, nella loro equivalenza, viene negata a priori ogni possibile affermazione positiva del lavoro. Se “ogni tipo di lavoro va bene” vuol dire che il tipo di lavoro, la sua particolarità positiva, non conta più nulla. Conta solo, appunto, il puro lavoro.
Tutto questo determina una crisi senza precedenti, perché la vita dell'uomo in questo paradigma è quasi totalmente una negazione della vita stessa, una negazione del tempo, una schiavitù di cui l'uomo non riesce ad intuire il senso nemmeno nei momenti del cosiddetto tempo libero, questo succedaneo secolare della festa, che diventa sempre più un ammazzare il tempo, un puro far niente.
Ecco che la portata emblematica della nostra epoca viene alla luce nella paradossalità della coincidenza in negativo di tempo del lavoro e tempo della festa (quelli che un tempo erano la sfera profana e la sfera sacra): nel tempo del lavoro si nega il tempo, nel tempo della festa lo si ammazza. E cioè: il tempo è sempre negato, mai affermato.
Sarebbe qui da indagare anche tutta la tematica dell'odierno disagio psicologico dell'uomo nel suo tempo libero, che ormai viene quasi vissuto come tempo peggiore del lavoro, nel quale non si sa che fare e si desidera che passi velocemente (proprio come il lavoro; la confusione fra vacanza e lavoro è ormai diventata un tema comico per eccellenza).

Il lavoro positivo - lavoro e arte

Arte e lavoro: due mondi oggi completamente distinti.

Il mondo premoderno non conosceva quello che noi oggi chiamiamo l'arte, l'artista; anche in questo caso, l'idea di un'arte rigidamente separata da tutte le altre sfere dell'agire umano sarebbe sembrata un'aberrazione.
Arte in greco si diceva techne, da cui l'odierno tecnica; lo spostamento di significato che rivela l'etimologia la dice lunga sulla fragilità dei confini che dividevano arte e lavoro.
Di questo peculiare rapporto fra le due sfere oggi noi possiamo forse recuperare un'eco in una parola ormai desueta: il mestiere.
Nella parola mestiere noi esprimiamo proprio quel lavoro che confina con l'arte; proprio del mestiere è infatti di ritenere essenziale anche il momento del lavoro, il “come”, lo stile, oltre che il prodotto finito, il “cosa”, l'opera.
Il mestiere si compiace del suo lavorare: per questo lo afferma pienamente e lo considera, come la fatica artistica, pienamente valido di per se stesso.
E' lo stile, il particolare modo di cucinare ad essere il vanto del cuoco. A questo proposito è rimasto ancora oggi il detto “questa è arte” riferito a tutte quelle opere che, pur non essendo concepite per essere arte in senso stretto ma come prodotti funzionali di un lavoro, travalicano completamente nella loro perfezione questo concetto di funzionalità per abbracciare quello di finalità intrinseca proprio delle opere d'arte.
Tutte queste modalità in cui il lavoro assumeva un valore in sé e si presentava come positivo scomparvero gradualmente nella modernità, da una parte per il processo di secolarizzazione e dall'altra per il processo della specializzazione degli ambiti, che pose fine a questo interscambio fra le sfere di lavoro, arte e religione di cui abbiamo parlato a proposito del mondo antico.
Ogni ambito venne per così dire lasciato a se stesso e nei motti “l'arte per l'arte” e “il lavoro è il lavoro” si sigillarono gli antichi confini.

Il lavoro positivo - lavoro e religione

Perchè il mondo premoderno intendeva il lavoro in modo diverso rispetto a quello attuale?

Oggi il significato della parola lavoro coincide con quello di lavoro negativo.
Vi sono state epoche storiche nelle quali però il lavoro era connotato diversamente, in un modo che potremmo chiamare positivo.
Questa connotazione differente era data da una triplice interazione fra le sfere del lavoro, della religione e dell'arte. Quei confini che oggi separano così ermeticamente questi ambiti, un tempo erano più vaghi e permeabili, tanto che l'autonomia di ogni sfera si fondava solo sulla contaminazione con le altre due.
L'idea di lavoro del mondo premoderno quindi non coincideva assolutamente con il concetto di puro lavoro; questo modo di concepirlo sarebbe apparso come un'astrazione insensata.
Il mondo premoderno infatti era profondamente modellato da una concezione religiosa dell'esistenza in tutti i suoi aspetti. Il tempo quotidiano profano non era l'unica modalità temporale conosciuta dagli antichi; essi conoscevano anche il tempo sacro e nella loro esperienza generale del tempo questi due aspetti non erano rigidamente contrapposti ma interconnessi, orientati l'uno sull'altro.
Poiché la concezione del tempo e quella del lavoro sono legate indissolubilmente, essendo la seconda un calco della prima, se nella società moderna al concetto di puro lavoro corrisponde un monopolio totale dell'aspetto profano del tempo, nella società antica, in linea con una concezione del tempo dualistica e non più univoca (tempo sacro-tempo profano), ci troveremo di fronte a una concezione religiosa del lavoro.
Questo significa che il lavoro, pur facendo parte del tempo profano, era come questo interpretato e orientato sul piano del tempo sacro.
Il lavoro quindi, assumendo una funzione quasi rituale, non era mero tempo strumentale da negare perchè privo di alcun valore, ma era significativo in se stesso, poiché si inseriva nell'edificio concettuale religioso assumendo la funzione di simbolo evocatore di miti.
Casi esemplari a questo titolo sono tutti i riti connessi all'agricoltura (pensiamo ai riti della fertilità); da questi è facile comprendere come tutto il lavoro contadino era interamente sussunto sul piano religioso e assumeva valore rituale. Questo tipo di lavoro, essendo caratterizzato non più dalla negazione del tempo, ma all'opposto dalla sua piena affermazione, si può definire quindi positivo, poiché in esso non si concepisce il tempo del lavoro come privo di valore, come uno strumento, ma come avente valore di per sé stesso.
Nel primo caso il tempo del lavoro deve durare il meno possibile, meglio sarebbe se si eliminasse del tutto; nel secondo caso esso deve durare “il suo tempo”, perchè esso è pienamente voluto in quanto simbolo del tempo sacro.
Ma nel mondo antico vi è un'altra sfera, anch'essa già da sempre cooriginaria a quella religiosa, che si sovrapponeva e si confondeva con quella del lavoro: il mondo dell'arte.

Il lavoro positivo - cosa significa?

La società moderna fino ad oggi è stata caratterizzata, parallelamente al suo progressivo fondarsi su un'economia capitalista, da una concezione negativa del lavoro.
Per lavoro negativo si intende quel tipo di lavoro che si concepisce come puro lavoro, mero mezzo per procacciarsi il salario. In quanto puro tempo di mezzo, il lavoro nega il mio tempo e lo nega nella misura in cui il tempo del lavoro è il mio proprio tempo che io sottraggo da me stesso per asservirlo a un qualunque altro fine.
Il lavoro diventa così quella parte della vita che non si spende per vivere propriamente, ma si spende in vista del vivere, per poi vivere. La vita giace, in questo tempo di mezzo, come quasi morta, in una sorta di stand-by.
Questo tipo di lavoro quindi è negativo perchè è negativo il modo in cui raggiunge il suo obiettivo: attraverso il sacrificio del tempo, sacrificio della vita presente in vista della vita futura. Il lavoro negativo è anzi in tutti i suoi aspetti un sacrificio profano: si uccide, si nega qualcosa affinchè qualcos'altro si possa affermare.

martedì 30 marzo 2010

Quanta superficie dovremmo ricoprire di pannelli?

Avete mai pensato a quanta superficie si dovrebbe ricoprire di pannelli fotovoltaici per raggiungere il fabbisogno energetico Italiano?

Tenterò un semplice calcolo, giusto per dare un'idea:

I dati in Wh (wattora) corrispondono all'energia calcolata in un anno.

- Poniamo un (abbondante) consumo in Italia, uguale a 360 000 GWh = 360 000 000 MWh;

- Sappiamo che la superficie media occupata da un impianto da 1 kWp è di 10 mq. Ho scelto 10 mq facendo una media tra i campi solari (grossomodo 12 mq per via delle distanze da mantenere a causa dell'ombreggiamento) e gli impianti sui tetti (8 mq poichè non si conta l'ombreggiamento per via dell'inclinazione del tetto);

Un impianto da 1 kWp produce in media in Italia 1,5 MWh (1,2 nel Nord Italia e 1,8/1,9 MWh nel sud Italia);

Servono, quindi, 240 000 000 impianti da 1 kWp installati in Italia per raggiungere i consumi stimati in Italia. (360 000 000 MWh/ 1,5 MWh);

Moltiplicati ciascuno per 10 mq otteniamo la superficie necessaria = 2 400 000 000 mq = 2 400 kmq;

La superficie dell'Italia è uguale a (301 338 kmq - 7 232, 112 kmq (2,4 % acque)) 294 105,888 kmq;

Con una semplice proporzione troviamo la percentuale di superficie del territorio italiano necessario per soddisfare il nostro fabbisogno energetico con il fotovoltaico:
(2 400 kmq x 100) / 294 195,888 = 0,81% ;

Conclusione:

Se ricoprissimo circa lo 0,81 % della superficie dell'Italia di pannelli fotovoltaici saremmo completamente autonomi energeticamente.

Considerazioni:

E se calcolassimo solo 8 mq/kWp supponendo di ricoprire solo tetti? Basterebbe lo 0,65% della superficie totale;

Il calcolo tiene conto soltanto del solare come fonte di energia: i calcoli si ridurrebbero notevolmente se contassimo il contributo dell'eolico e altre fonti rinnovabili;

Un' altra "fonte" di energia, indiscutibilmente la più pulita, è il risparmio energetico: una fonte di energia sostenibile ed un consumo responsabile sono la combinazione perfetta per abbattere ulteriormente i dati sopra espressi;

giovedì 25 marzo 2010

Gas: Il progetto Nabucco ed il progetto SouthStream:

Da dove arriva il gas per la nostra produzione di energia?

Il progetto Nabucco, dal valore stimato di circa 7,9 miliardi di dollari, prevede la fornitura di gas proveniente dai giacimenti del Mar Caspio, attraverso l'Azerbaigian, la Georgia, la Turchia, la Bulgaria, l'Ungheria, la Romania e l'Austria. Il progetto nasce grazie ai finanziamenti dell'UE per garantire un approvvigionamento di gas sicuro, dopo le tensioni tra Russia e Ucraina (ogni tanto qualcuno spegne il rubinetto...). Un tratto di 2000 km (su una lunghezza totale di 3300 km), passa attraverso il territorio turco. I lavori saranno lancianti nel 2010, e le prime consegne dovrebbero iniziare nel 2014. Il consorzio internazionale per il momento, comprende la turca "Botas," la bulgara "Bulgargas", la romena "Transgas", l'ungherese MOL, l'austriaca MOV e la tedesca RWE. Molte di tali soscietà non appartengono più ai rispettivi Governi dei Paesi partecipanti, bensì sono a tutti gli effetti  società private, che agiscono dietro interessi di controllate estere.



Nabucco è in diretta concorrenza con un progetto russo denominato South Stream (anche Eni in collaborazione con Gazprom vi partecipa, e dovrebbe attraversare Russia e Bulgaria passando per il Mar Nero) , ed è sostenuto anche dagli Stati Uniti. I dati tecnici parlano di 31 miliardi di metri cubi di gas che passeranno ogni anno dall’Asia all’Europa, e uno dei principali fornitori sarà l’Azerbaijan, ma non dimentichiamo che anche paesi come Iraq, Egitto e Siria si sono detti pronti ad aderire all’iniziativa.
Il 6 agosto 2009, i premier turco, Erdoğan, e russo, Putin, hanno firmato, alla presenza di Berlusconi e Scaroni, un accordo intergovernativo che permetterà alla condotta di passare nelle acque territoriali turche del mar Nero.



La Turchia intascherà dalla tassa annuale di servizio circa 400 milioni di dollari, oltre alla creazione di molteplici nuovi posti di lavoro . "A differenza del South Stream, che trasporterà solo il gas russo, il Nabucco garantirà gli approvvigionamenti anche in caso di problemi con la Russia , con la possibilità di istradare il gas della regione del Mar Caspio, dell'Azerbaigian, dell'Iraq e dell'Egitto. L'accordo ha rimosso un importante ostacolo per il successo del progetto, afferma Gyorgy Mosonyi , direttore esecutivo del Gruppo MOL.

Considerazioni:

Dunque, dalla Turchia passeranno due condotti "avversari" per portare il gas in europa: uno filorusso e l'altro antirusso. L'Unione Europea, quindi anche l'Italia, ha partecipato al progetto Nabucco. L'ENI , giustamente, però partecipa al progetto SouthStream. "Two is meglio che one". Ma osservate le cartine, guardate che bellezza! due tubi che attraversano le estremità dell'Europa per fare la stessa cosa.

Panoramica sulla situazione energetica italiana

Dati Terna 2008, anche se i dati variano da sito in sito.

- Consumi:

Consumo Italia: 359'163 GWh

Energia comprata dall'estero: 40'034 GWh (11,2%)
Energia richiesta nazionale: 339'480 GWh
Energia persa in rete: 20'443 GWh circa.
Utenti finali: 319'037 GWh

Potenza media richiesta: 42 GW (oscillanti tra 20,2 e 55,2 GW)

- Produzione energia:

Produzione nazionale lorda: 319 129 GWh annui (2008).

72,8% centrali termoelettriche
a gas naturale 66,3%
carbone 16,5%
derivati petroliferi 7,4%
gas derivati 2,1%
fossili e rinnovabili 7,6%

16,1% fonti rinnovabili:
idroelettrica 13,2% (alpi e appennini)
geotermica: 1,5%
eolica; 1,3% (Sardegna, Appennino meridionale, Sicilia)
fotovoltaica; 0,05% (193 GWh)

11,2% importata dall'estero

- Importazioni di gas:

Italia importa il gas da:
Russia;
Algeria;
Libia (vedi gasdotto Greenstream che aumenterà la quota di gas importata dalla Libia, vedi accordi Gheddafi-Berlusconi)
Paesi Bassi;
Norvegia;

quarto importatore mondiale di gas naturale (World Oil and Gas Review)

Stati Uniti 122,75
Germania    90,70
Giappone    76,12
Italia    73,49  

Italia il paese europeo (sesto al mondo) maggiormente dipendente dal petrolio per la produzione di energia elettrica

domenica 21 marzo 2010

E voi direte: ma chi se ne frega dell'orto!

Giustamente, avete ragione. Io scelgo di fare il contadino prima di tutto perché mi piace. Fare un discorso di questo tipo generalizzandolo sarebbe una follia. Ciò che serve è prendere, anzi riprendere coscienza del consumo. Se, legittimamente, non si ha nemmeno il più lontano desiderio di praticare l'autoproduzione, è giusto che ci si accordi con i produttori vicini per organizzare il proprio approvvigionamento. Ognuno scelga o continui a fare il proprio lavoro!
Questo è un discorso che coinvolge tutti, produttori e consumatori. Si tratta di un cambiamento graduale e apparentemente innocuo. Fermando il flusso di cui si nutrono le varie sanguisughe piazzate in mezzo al mercato, tutto avviene da sé: esse o si convertono o muoiono.
Nessuno sta parlando di trasformare il mondo in una società contadina. Il lavoro contadino però deve essere valorizzato. Il contadino è in qualche modo il “sacerdote della terra”, un mediatore tra la vita della terra e la vita dell’uomo.

sabato 20 marzo 2010

stop: mettiamo le cose in chiaro

Attenzione: io non vorrei passare per il brontolone, l'eremita della situazione, il naturalista finto santone New-Age (per carità...), l'antropofobo, il ProgressistaDiSinistraNo-GlobalMiamiBeach e chi ne ha più ne metta. Beh se volete proprio saperlo, dunque, per esempio io:

- ogni tanto mangio da MacDonald e scelgo il menu più schifoso che hanno, provando un certo senso di libertà;
- ogni tanto maledico i Cinesi;
- simpatizzo per il federalismo fiscale;
- odio i movimenti, i partiti, manifestare e percepire sentimenti di comunanza: mi fanno sentire un teletubbie;
- amo la città, profondamente;
- amo le auto e le moto e sono un tifoso di Valentino Rossi;
- mi piace la gente e a volte faccio le cose che fa la massa;
- ascolto anche rap e da piccolo volevo essere nero e nascere in un ghetto;
- ho speso qualche volta una barca di soldi per un paio di pantaloni;
- orino per strada in caso di necessità, tanto poi si asciuga;
- pecco sovente di gola;

E con questo non voglio più parlare di me. No perchè sennò non ci capiamo.

venerdì 19 marzo 2010

Come fare l'orto

Se non capissi nulla di agricoltura (come effettivamente è) e dovessi inventarmi un metodo per fare l'orto nel mio terreno, la prima cosa che farei sarebbe quella di farmi un giro in campagna e cercherei di capire come crescono le piante. Se avete mai fatto un giro nei sentieri di campagna o di montagna avrete notato sicuramente una serie di cose:

gli alberi hanno le foglie;
le foglie cadono per terra;
dove si cammina non crescono le piante e la terra è dura;
dove non si cammina, sotto le foglie, la terra è nera, piena di insetti e crescono le piante;
le piante sono sparpagliate, crescono disordinatamente e le specie prevalenti sono mischiate tra loro;
le piante muoiono e nascono nello stesso posto;

Non sono gli appunti rubati ad un grande biologo. Queste bene o male sono le cose che nota un uomo di mezza intelligenza dando uno sguardo generale ad un bosco. Queste sono anche le regole che userei per fare il mio orto ("concimi?" "boh", "filari?" "boh", vabbè).

Su queste banali basi Emilia Hazelip ha riformulato le idee di Fukuoka dando vita alla cosiddetta agricoltura sinergica. Emilia ha inventato un metodo per riprodurre quello avviene in natura, e funziona benissimo: basta osservare e riprodurre. Il lavoro è minimo (anche per questo mi piace), perchè la terra fa tutto da sola. Giuro, non sto scherzando.

domenica 14 marzo 2010

Maturità - il declino della responsabilità

Un sistema centralizzato propone un vantaggio illusorio: la comodità. In nome di questa ha vinto come sistema.
"La conoscenza è sofferenza", è un sacrificio, quindi è scomoda. La morte, il marciume, lo sporco, sono elementi essenziali per aumentare la propria conoscenza, e sulla conoscenza si fonda la maturità. Illudersi che una parte della realtà non esista, girare lo sguardo invece di affrontarlo significa solo rimandare il problema. Accettare, invece, la realtà nella sua complessità e completezza richiede un atto di umiltà. Quella stessa umiltà che si manifesta raggiante dietro le rughe di un vecchio, una forza eterna che si trasmette e si stabilisce in qualche prezioso luogo recondito, dopo aver attraversato gli occhi di chi l'ha avvertita. Rimane un punto di riferimento, perché esso è un diamante dell'essenza umana. Il raggiungimento di quello stato, però, non avviene solo attraverso una spinta verso l'alto, (ovvero con pratiche ascetiche o lo studio dei risultati di pensieri già pensati e strutturati dal passato, definizioni) , ma anche e soprattutto attraverso una spinta verso il basso, verso la terra (gli elementi che compongono una definizione, il concime dei pensieri). Se questo sforzo lo impiego verso il basso, si attiva di conseguenza una spinta sincronica verso l'alto. Applicare solamente uno sforzo 'verso l'alto' sarebbe un po' come provare a risolvere un'equazione omettendo il procedimento di svolgimento. Questo atto di umiltà, richiede all'individuo di porsi continuamente allo stato iniziale, allo zero assoluto. Egli deve convivere con la fatica di ricominciare sempre da zero. Questa è anche la base del ragionamento basato sul dubbio. Infatti, ogni qual volta ricomincio da zero, faccio tremare le strutture convenzionali: il dubbio è l'humus del progresso, quello vero.
Parlo dei vecchi, perché tra la generazione dei nostri nonni e quella dei nostri padri è cambiato qualcosa: questo estremo desiderio di giovinezza eterna, questa avversione per la rinuncia, la consacrazione del diritto come misura della libertà, la ricerca della felicità, i tempi dell'otium e del negotium, eccetera, eccetera.
Abbiamo declinato ciò che è scomodo ad una grande macchina in cambio di lavoro altrettanto scomodo e con una condizione: la macchina non fa mai pause. E per di più un uomo senza lavoro è bello che spacciato. Facciamo esattamente quello che farebbero una miriade di mosche sopra una carcassa dove chi non trova il suo spazietto da succhiare è finito. Un sistema autonomo ti potrebbe lasciare finalmente il sacrosantissimo diritto di fare un beato niente, di perdere tempo, di buttarlo via, di attendere, di lasciare buchi vuoti, di pensare agli Axolotl del Messico, o ad ubriacarti con tua nonna. Invece noi vogliamo riempire, colmare, abbiamo paura del vuoto. Stare in silenzio è scomodo: ti mette di fronte a te stesso, a quel dolore intrinseco con cui devi fare i conti. Come si può accettare la vecchiaia se non si accetta il silenzio? Accogliere tutto questo richiede molta responsabilità. Ma non solo verso se stessi, ma verso tante cose del mondo (mondo e io sono la stessa cosa). Vogliamo sempre e solo il frutto delle cose, sempre la giovinezza, sempre quel divertimento, quel tipo di gioia.
Il sistema autonomo non permette di raccogliere solo i frutti del piacere. Il sistema autonomo ti obbliga a ritornare all'inizio, alla semina, alla crescita e infine di nuovo al frutto. Il frutto maturo, insieme al suo massimo piacere si ottiene solo rispettandone il suo ciclo.

sabato 13 marzo 2010

l'idea generale del sistema autonomo

Il sistema centralizzato è un cervello, una fabbrica, una concentrazione di poteri, che crea i suoi prodotti per tutti i suoi satelliti. Sostituisce le loro facoltà e le riassume grossolanamente e semplicisticamente in un centro. Per quanto i sistemi di elezione (il voto) si impegnino a garantire la "democrazia", questo potere non viene sfruttato. Esiste un problema di dimensione che si tramuta in un problema strutturale. La dimensione crea un vuoto incolmabile tra un satellite ed il centro. Tra essi non avviene nessuna comunicazione se non una riproduzione di essa (il talk show riproduce un eventuale dialogo tra cittadino e centro, delegandolo ad altri individui). In questo modo il satellite delega la sua intelligenza e il suo diritto. Lo stesso avviene per la produzione di energia, per il commercio e molte altre cose.
Un altro grande problema: il centro non può conoscere tutte le problematiche particolari dei suoi satelliti, quindi li riassume in un unico problema basandosi sulla statistica. Perciò non può avvenire un dialogo completo tra satellite ed il centro, perché sono pochi gli elementi in comune tra essi. Questi coinvolgono problemi di larga scala, ideologie o questioni internazionali. Tutti problemi attorno ai quali un satellite non può avere una visione completa ed esauriente, perché semplicemente troppo grandi. Un satellite, infatti, forma una propria idea basandosi su altre idee, tesi, false testimonianze, rasentando la superstizione.
In un sistema a misura d'uomo, si rispetta quello che sta alla base del concetto di democrazia, cioè il dialogo. Esso presuppone due interlocutori, un canale e un messaggio con un codice comune. Attraverso il dialogo si presentano, si discutono e si risolvono i problemi in comune, tra interlocutori interessati a risolverli. I problemi si possono vedere con i propri occhi e riconoscerne l'entità. Nessuno può frapporsi e cambiare le carte in tavola.
L'alienazione creata dal sistema centralizzato determina una bassissima conoscenza dei cicli produttivi e quindi una bassa sensibilità al consumo. Questo è dovuto al fatto che i beni primari come l'energia, il cibo, e tutto il resto vengano prodotti come merce e in quanto merce sono i fattori del profitto delle imprese private, quindi 'più si consuma più si guadagna', e di conseguenza si spreca molto di più.
Non è da dimenticare che il sistema centralizzato si basa quasi sempre su fonti non rinnovabili.

E' necessario andare verso un sistema autonomo a rete

Autonomia significa che ogni singolo nucleo sfrutta al massimo le sue facoltà, all'interno di un ambiente adeguato che le valorizza in quanto facoltà naturali. Significa restituire le responsabilità a coloro che devono essere responsabili di un ambiente e della gestione della propria vita.
Un sistema autonomo è un insieme di nuclei autonomi che condividono tra loro alcune risorse. Questo insieme di nuclei è, a sua volta, un nucleo autonomo che condividerà risorse con altri nuclei, e così via. Si tratta di una autonomia a strati, in cui alla base sta l'individuo, il primo e il più importante nucleo autonomo. Poi l'abitazione, ad un livello successivo un agglomerato di abitazioni (città, villaggio o quello che sia), poi una regione, spesso delimitata da confini ambientali (come la vallata) o culturali, e infine la nazione. Ogni suddivisione ha il diritto ed il dovere di occuparsi del proprio territorio, e per esso decidere democraticamente il meglio. Questo crea coesione e sensibilizzazione sociale.
Ma l'autonomia non sta semplicemente nell'aumento del diritto decisionale locale. L'autonomia è energetica, attraverso fonti di energia rinnovabili, e alimentare. Per quanto riguarda l'energia, parlo del fotovoltaico e dell'eolico, ove possibile, e altre diverse fonti più particolari. Conoscere cosa significa produrre la propria energia alimenta la coscienza del consumo e del valore di questo bene. L'energia prodotta da ciascun nucleo serve per il sostentamento del nucleo stesso, e ciò che viene prodotto in più rimane nella rete per altri scopi. L'energia in rete è un'energia libera, il motore che muove l'intera società.
Per quanto riguarda l'alimentazione, solo aumentando le produzioni locali e le autoproduzioni si può tornare all'agricoltura naturale, evitando lo sfruttamento chimico. Riappropriandosi del territorio rurale, ogni regione viene valorizzata sfruttando le proprie virtù e possibilità che, appunto, cambiano di luogo in luogo. Il terreno, infatti, ha una produzione precisa tipica di quel territorio che va rispettata.



Questo sistema vuole rimarcare l'importanza della responsabilità che ogni cittadino deve avere per il suo territorio particolare, che viene prima di tutto. Ipoteticamente, se tutti si occupassero del loro piccolo prima che di questioni più grandi di loro, le cose funzionerebbero meglio. Questo non significa che bisogna dimenticarsi del resto, assolutamente: soltanto la conoscenza e l'esperienza fatta nel proprio piccolo crea gli strumenti di analisi per concepire problemi più grandi.
Ma qual è il sangue che mette in comunicazione questo sistema di nuclei? il sistema informativo basato su internet. Ognuno è autonomo e allo stesso tempo collegato con gli altri.
Quindi, i fattori che determinano l'autonomia locale sono: l'indipendenza energetica, la produzione alimentare locale e il sistema informativo basato su internet.

venerdì 12 marzo 2010

io sono un sistema autonomo!

Prima di tutto lo sono in quanto individuo. Per questo, voglio aprire un guerra contro un nemico che mi ha perseguitato per tutta la vita senza mai darmi tregua: la smorfia. Un po' di tempo fa avrei creduto di non potercela fare, di dichiararmi sconfitto e accettare il suo dominio, ma oggi ho deciso di oppormi. Vedete, la smorfia è più meschina di quanto si possa credere: magari sto passeggiando per strada e sto pensando ai fatti miei e lei sta lì, senza che io lo sappia, spiaccicata in faccia. Magari sta passando anche una bella ragazza che mi chiede l'ora e le rivolgo per un attimo quella faccia, così... Oppure, probabilmente anche voi leggete i giornali: non so voi, ma io mi sono accorto di avere la smorfia anche in quel momento, da quando comincio a leggere il titolo dell'editoriale (succedono delle cose incredibili nel mondo!). Oppure aspettando il pullman in piena città, o quando faccio la fila negli uffici pubblici, quando compro il pane e in tanti altri momenti ancora. La smorfia, attenzione, non compromette la mia felicità, ma diciamo che si pone come un sottofondo sgradevole, un disagio sottile e assillante. In pochi se ne sono accorti, ma questo è un problema nazionale, anzi, che dico, mondiale! Tutti coloro che vivono in città, hanno la smorfia. Ho detto nelle città, quindi quasi tutti. Quasi tutta l'umanità è vittima della smorfia. Maledetta...

Raramente riesco a liberarmi di lei e vedere anche la gente liberarsene. Questo accade per esempio quando sono nelle piccole città, nei piccoli comuni, in montagna, in campagna, al mare, in tutti quei posti che mantengono ancora un'estetica concedetemi il termine, normale. Che cos'è il 'normale'? un buon parametro è 'quando non hai la smorfia'. Respirare quest'aria non è normale, lavorare tutta la vita 8 ore al giorno fino alla pensione non è normale, la melanzana fosforescente non è normale, incazzarsi per un parcheggio non è normale, le malattie passeggere e molte di quelle che non lo sono non sono normali, comprare gli asparagi dal Perù non è normale, insomma un elenco infinito di cose che facciamo non sono normali. Per me la normalità significa per lo meno vivere in un luogo in cui l'olfatto, la vista, l'udito e il gusto vengano rispettati. Fa bene a me, fa bene a tutti.

Sistemautonomo è uno spazio comune per chi, come me, non ride più ascoltando Toto Cotugno.
Uno strumento per la ricerca, la discussione e la formulazione di idee concrete per la realizzazione di sistemi per il sostentamento autonomo, attraversando i temi dell'agricoltura, dell'energia, dell'architettura e del cibo.